Gli ingredienti che hanno reso celebre lo scrittore statunitense sono semplici ma essenziali. L'intreccio narrativo, complesso e monolitico allo stesso tempo, in cui la cura per i particolari, il linguaggio tecnico e l'approfondimento psicologico dei personaggi contribuiscono a immergere il lettore in una storia sempre verosimile. Lo stile asciutto e diretto, ricco di citazioni e poi l'immancabile Skyline di Manhattan, a fare da cornice all'ambiente legale che ha colpito l'immaginazione di milioni di lettori nel mondo.
Dopo alcune brevi incursioni nella non fiction e nel romanzo (con titoli di successo come Il broker, Innocente. Una storia vera, Il Professionista), con trame che gli hanno permesso anche delle lunghe incursioni negli ambienti della provincia italiana, Grisham ritorna nell'Upper West Side di New York, a pochi passi da Central Park, dove Kyle L. McAvoy e il pool di giovani avvocati dello studio Scully & Pershing si incontrano per il loro brunch alla domenica mattina.
Stupro, omicidio, furto, intercettazioni illegali, estorsioni, ricatti e montagne di dollari, queste le parole chiave del suo nuovo attesissimo romanzo, snocciolate sul filo di una trama che lascerà tutti, ancora una volta, senza fiato.
Le regole della New Haven Youth League prevedevano che ogni ragazzine entrasse in campo per almeno dieci minuti a partita. Erano ammesse eccezioni nel caso di giocatori che avessero saltato gli allenamenti o violato altre regole. Allora il coach poteva redigere un rapporto prepartita per informare il tavolo dei giudici che il Tal dei Tali avrebbe giocato poco, o magari per niente, a causa di qualche infrazione. Alla lega questo non piaceva granché, dopo tutto si trattava di un'attività ricreativa più che competitiva.
A quattro minuti dalla fine della partita, coach Kyle guardò verso la panchina, fece un cenno in dirczione di un ragazzine cupo e imbronciato di nome Marquis e gli chiese: «Vuoi entrare?». Senza rispondere, Marquis si avvicinò al tavolo dei giudici e aspettò un'interruzione del gioco. Le sue infrazioni erano numerose: allenamenti saltati, scuola marinata, brutti voti, smarrimento dell'uniforme, turpiloquio. In effetti, dopo dieci settimane e quindici partite, Marquis aveva violato tutte le poche norme che il suo allenatore aveva tentato di imporre. Coach Kyle si era reso conto ormai da tempo che qualsiasi nuova regola sarebbe stata immediatamente trasgredita dalla sua star, ed era quella la ragione per cui aveva ridotto al massimo l'elenco e vinto la tentazione di aggiungerne altre. Non stava funzionando comunque. Cercare di gestire con mano morbida dieci ragazzini provenienti da quartieri degradati aveva fatto finire i Red Knights all'ultimo postoin classifica del campionato d'inverno, divisione fino ai dodici anni.
Marquis di anni ne aveva solo undici, ma era chiaramente il miglior giocatore sul parquet. Preferiva tirare e segnare piuttosto che passare e difendere, e nel giro di due minuti, evitando agilmente la marcatura di atleti più grossi i di lui, aveva segnato sei punti. Aveva una media di quattordici punti a partita e, se gli fosse stato concesso di gioii care più di un tempo, probabilmente avrebbe potuto arri-i vare a trenta. Secondo la sua giovane opinione, non aveva alcun bisogno di allenarsi.
Kyle seguiva la partita e aspettava, strillando ogni tanto perché era quello che si supponeva dovesse fare un coach. Si guardò intorno nella palestra semideserta, un vecchio edificio di mattoni nel centro di New Haven, sede della lega giovanile da quasi cinquant'anni. Sulle gradinate c'era un gruppetto di genitori, in attesa della sirena finale. Marquis fece di nuovo canestro. Nessuno applaudì. I Red Knights erano sotto di dodici punti a due minuti dalla fine.
In fondo alla palestra, proprio sotto il vecchio tabellone
segnapunti, si aprì la porta ed entro un uomo, che sì appoggiò alle tribune mobili. Si notava perché era un bianco. In nessuna delle due squadre c'erano giocatori bianchi. L'uomo dava nell'occhio anche perché indossava un abito nero, o blu scuro, camicia bianca e cravatta bordeaux, il tutto sotto un trench che indicava il suo essere un agente federale o un qualche tipo di poliziotto.
Fu solo per caso che Kyle lo vide entrare, e pensò subì to che fosse fuori posto. Probabilmente un detective, forse uno della Narcotici alla ricerca di uno spacciatore. Non sarebbe stato il primo arresto nella palestra o negli immediati dintorni.
Dopo essersi appoggiato alle tribune, l'agente/poliziotto lanciò una lunga occhiata verso la panchina dei Red Knights e i suoi occhi sembrarono fermarsi su Kyle, il quale sostenne lo sguardo per un secondo prima di cominciare a sentirsi a disagio. Marquis tirò da quasi metà campo e coach Kyle balzò in piedi, allargò le braccia e scosse la testa come per chiedere: "Perché?". Marquis lo ignorò e rientrò in difesa. Uno stupido fallo fermò l'orologio, prolungando l'agonia. Mentre osservava il giocatore che eseguiva i tiri liberi, Kyle notò sullo sfondo l'agente/poliziotto che continuava a guardare, non l'azione sul campo ma l'allenatore. A un venticinquenne specializzando in legge senza precedenti penali e senza alcun comportamento o tendenza illegale, la presenza e l'attenzione di un uomo che aveva tuta l'aria di lavorare per qualche ramo delle forze dell'ordine on avrebbero dovuto suscitare alcuna preoccupazione la non funzionava mai così per Kyle McAvoy.
Un altro fallo stupido e Kyle urlò all'arbitro di lasciar correre. Si rimise a sedere e si passò una mano su un lato del collo, poi si asciugò il sudore. Era l'inizio di febbraio e la palestra, come sempre, era gelida.
Allora perché stava sudando?
L'agente/poliziotto non si era mosso di un millimetro. Sembrava divertirsi a fissare Kyle. Finalmente la vecchia sirena gracchiò rauca. La partita grazie a Dio era finita. Una squadra fece festa e l'altra rimase indifferente. Tutte e due si allinearono per scambiarsi l'obbligatorio cinque e il solito "bella partita, bella partita", tanto privo di significato per i giocatori dodicenni quanto per quelli dei college. Mentre si congratulava con il coach avversario, Kyle guardò in fondo alla palestra: l'uomo bianco era sparito.
Quante probabilità c'erano che stesse aspettando fuori?
Naturalmente era paranoia, ma la paranoia era entrata a far parte della sua vita da così tanto tempo che ormai Kyle si limitava a riconoscerne la presenza, adeguarsi e andare avanti.
I Red Knights si ritrovarono nello spogliatoio della squa->dra ospite, un locale piccolo e pieno di roba sotto le cadenti gradinate fisse riservate ai sostenitori della squadra di casa. Coach Kyle disse tutte le cose che doveva dire: buona gara, bella difesa, il nostro gioco in certe fasi è migliorato, sabato vediamo di chiudere in bellezza. I ragazzi si stavano cambiando e non lo ascoltavano quasi. Erano stanchi di basket perché erano stanchi di perdere e, naturalmente, tutte le colpe erano del coach. Che era troppo giovane, troppo bianco, troppo Ivy League.
Nello spogliatoio c'era una seconda porta: dava in uno stretto corridoio buio che si snodava dietro le gradinate fino a un'uscita su un vicolo. Kyle non era il primo allenatore ad averlo scoperto, e quella sera voleva evitare non solo le famiglie con le loro lagnanze, ma anche l'agente/poliziotto. Salutò rapidamente i ragazzi e, mentre loro lasciavano lo spogliatoio, si diede alla fuga. Nel giro di pochi secondi raggiunse il vicolo e poi la strada, dove si mise a camminare veloce. C'era parecchia neve ammucchiata e il marciapiede, rivestito da uno strato di ghiaccio, era a malapena transitabile. La temperatura era molto al disotto dello zero. Erano le otto e mezzo di un mercoledì sera e Kyle era diretto alla redazione della rivista della scuola di legge di Vale, dove avrebbe lavorato almeno fino a mezzanotte.Non andò così.
L'agente era appoggiato al parafango di una Jeep Cherokee rossa. L'auto era intestata a un certo John McAvoy di York, Pennsylvania, ma negli ultimi sei anni era stata l'affidabile compagna del figlio Kyle, il vero proprietario.
Anche se d'improvviso i piedi gli sembrarono due mattoni e sentì cedere le ginocchia, Kyle riuscì a continuare a camminare come se non ci fosse stato niente di insolito. Non solo hanno trovato me, si disse mentre cercava di pensare con lucidità, ma svolgendo diligentemente il loro compitino hanno trovato anche la mia Jeep. Be', non proprio una ricerca di altissimo livello. Io non ho fatto niente di male, si ripetè.
«Partita dura, coach» disse l'agente, quando Kyle fu a tre metri da lui e cominciò a rallentare il passo.
Kyle si fermò ed esaminò il robusto giovanotto con le guance e le basette rosse che l'aveva fissato durante la partita. «Posso esserle utile?» domandò, e vide l'ombra del N. 2 attraversare rapidissima la strada. Quella gente lavorava sempre in coppia.
«È esattamente quello che può fare» disse N. 1 estraendo il distintivo.